Il minore va ascoltato…

Il minore va ascoltato…

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Lo ha chiarito la Suprema Corte di Cassazione in un caso di adottabilità, affermando l’imprescindibile obbligo che il giudice ha di sentire i minori in tutti i procedimenti che li concernono, al fine di raccoglierne le opinioni, le esigenze e la volontà, salvo che egli motivi espressamente la non corrispondenza dell’ascolto alle esigenze del minore stesso, che quell’ascolto sconsiglino, essendosi inoltre precisato che, qualora particolari circostanze lo richiedano, l’obbligo può essere assolto anche indirettamente, attraverso una delega specifica a soggetti terzi esperti.

Corte di Cassazione, sez. I Civile, sentenza 15 marzo 2015 – 12 maggio 2016, n. 9780
Presidente Ragonesi – Relatore Nazzicone

Svolgimento del processo

La Corte d’appello dell’Aquila, sezione per i minorenni, con sentenza del 12 dicembre 2013 ha respinto gli appelli proposti da (…) e (…) ed (…) avverso la sentenza del Tribunale per i minorenni dell’Aquila pronunciata il 7 maggio 2013, la quale ha dichiarato lo stato di adottabilità della minore (…)
La corte territoriale ha confermato il giudizio di sussistenza dello stato di abbandono della minore, trovata dai servizi sociali del Comune di (…) in stato di degrado per l’inidoneità della madre, affetta da malattia mentale, a fornirle l’adeguata assistenza, mentre il padre si era allontanato verso altra città con una nuova compagna, lasciando la minore in quelle condizioni, e gli altri parenti, compresa la nonna, non si erano resi conto della situazione, né perfino del fatto che la bambina non frequentasse ancora la prima elementare, pur avendone l’età.
Propongono ricorso per cassazione la madre (…) e la nonna (…) , sulla base di tre motivi. Resiste con controricorso il curatore speciale della minore.
Con ordinanza interlocutoria del 25 maggio 2015, il collegio ha ordinato la notificazione del ricorso al padre
della minore, assegnando all’uopo il termine di sessanta giorni dalla comunicazione dell’ordinanza, adempimento tempestivamente espletato.

Motivi della decisione

1. – Con il primo motivo, le ricorrenti deducono la violazione e falsa applicazione degli art. 15, 2 comma e 17, 1 comma, l. n. 184 del 1983, art. 12 Convenzione di New York del 20 novembre 1989, art. 6 Conv. Strasburgo del 25 gennaio 1986, art. 24 Carta europea dei diritti fondamentali, oltre al vizio di omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione, perché la sentenza impugnata non ha ritenuto illegittimo l’omesso ascolto del minore da parte del tribunale.
Con il secondo motivo, censurano la violazione e falsa applicazione dell’art. 194 c.p.c., per non avere la corte d’appello ritenuto illegittima la c.t.u., avendo la consulente affidato la somministrazione di tests psicodiagnostici ad altra psicologa.
Con il terzo motivo, lamentano l’omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione e la violazione degli art. 8 e 15 l. n. 184 del 1983, perché, dopo la fase acuta della malattia mentale della madre, questa era migliorata ed in grado i occuparsi della minore; quanto alla nonna, essa era disponibile a prendersi cura della minore, come invece la corte del merito aveva contraddittoriamente escluso, pur dando atto della sussistenza di rapporti significativi con la minore stessa.
2. – Il primo motivo è infondato.
L’art. 15, secondo comma, ultima parte, l. n. 184 del 1983 prescrive che deve essere sentito “il minore che abbia compiuto gli anni dodici e anche il minore di età inferiore, in considerazione della sua capacità di discernimento“.
Secondo il principio anche di recente affermato da questa Corte, il giudice ha l’obbligo di sentire i minori in tutti i procedimenti che li concernono, al fine di raccoglierne le opinioni, le esigenze e la volontà, salvo che egli motivi espressamente la non corrispondenza dell’ascolto alle esigenze del minore stesso, che quell’ascolto sconsiglino, essendosi inoltre precisato che, qualora particolari circostanze lo richiedano, l’obbligo può essere assolto anche indirettamente, attraverso una delega specifica a soggetti terzi esperti (Cass. 15 maggio 2013, n. 11687). Invero, l’audizione è adempimento necessario nelle procedure giudiziarie che riguardino i minori, ai sensi dell’art. 6 convenzione di Strasburgo 25 gennaio 1996, ratificata con la legge 20 marzo 2003, n. 77, salvo che l’ascolto possa essere in contrasto con gli interessi superiori del minore (Cass., sez. un., 21 ottobre 2009, n. 22238).
La sentenza impugnata ha affermato che la minore fu ascoltata dai consulenti tecnici d’ufficio nominati dal tribunale,onde essa è rispettosa dei principi richiamati ed il motivo si palesa manifestamente da disattendere.
3. – Il secondo motivo è infondato.
La corte d’appello ha chiarito che il giudice di primo grado aveva autorizzato espressamente il consulente tecnico ad avvalersi di esperto psicodiagnostico, onde anche questo motivo non coglie nel segno, dovendosi, altresì, rilevare come esso non contiene censure specifiche ad un pregiudizio subito.
4. – Il terzo motivo è inammissibile.
Esso censura, invero, gli accertamenti in fatto contenuti nella sentenza impugnata, vertendo sulla asserita divergenza tra la decisione e le circostanze fattuali dedotte: il motivo, pertanto, esula dall’ambito di applicazione del rinnovato art. 360, 1 comma, n. 5, c.p.c..
Come è stato chiarito (Cass., sez. un., 7 aprile 2014, n. 8053), l’art. 360 c.p.c., 1 comma, n. 5, c.p.c., come riformulato dal d.l. 22 giugno 2012, n. 83, conv. in l. 7 agosto 2012, n. 134, introduce nell’ordinamento un vizio specifico denunciabile per cassazione, relativo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo, vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia.
Ne consegue che, nel rigoroso rispetto delle previsioni dell’art. 366, 1 comma, n. 6, e 369, 2 comma, n. 4, c.p.c. il ricorrente deve indicare il “fatto storico”, il cui esame sia stato omesso, il “dato”, testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il “come” e il “quando” tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua “decisività”, fermo restando che l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sé, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorché la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie.
La censura mossa da parte ricorrente è, invece, del tutto indeterminata e astratta. L’impugnazione si risolve pertanto nell’apodittica affermazione per cui non sarebbe affatto emerso che la minore fosse in condizioni di inadeguate cure materiali e morali, e che le odierne ricorrenti non siano in condizioni di occuparsene in modo valido, tuttavia completamente smentita dalla lettura della motivazione della sentenza impugnata.
È, invero, del tutto estraneo al giudizio di questa Corte il riesame delle prove e delle valutazioni di merito compiute dalla corte d’appello, alla quale (come al giudice di primo grado) compete l’individuazione, nell’ambito del materiale probatorio acquisito, degli elementi rilevanti al fine di accertare o negare lo stato di abbandono nel senso sopra indicato e la necessità di fare luogo, nell’interesse esclusivo del corretto sviluppo psicofisico del minore, alla dichiarazione dello stato di adottabilità.
La motivazione della corte del merito dà conto di plurimi e rilevanti episodi, nonché delle numerose indagini di merito espletate, avendo essa proceduto alla rigorosa valutazione dell’impossibilità di prestare assistenza materiale e morale alla minore al fine di escluderne la transitorietà, ed alla negazione della riconducibilità a fattori causali derivanti da forza maggiore, in modo da acquisire la certezza della continuità, stabilità, definitività delle condizioni obiettive e soggettive accertate, nonché il rischio danni irreversibili nello sviluppo psicofisico della minore stessa.
Su questi accertamenti, nessuna riconsiderazione può essere chiesta a questa Corte di legittimità.
5. – Le spese di lite seguono la soccombenza e sono liquidate in favore dello Stato, essendo il controricorrente ammesso al gratuito patrocinio.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna in solido le ricorrenti al pagamento delle spese del giudizio in favore dello Stato, liquidate in 2.900,00, di cui 200,00 per esborsi, oltre spese forfetarie ed accessori di legge.
Dispone che, in caso di diffusione del presente provvedimento, siano omesse le generalità e gli altri dati identificativi, a norma dell’art. 52 d.lgs. n. 196 del 2003.

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